Racconto ‘Sbadiglio’ Parte 3
Ottobre 9, 2017 7:52 pm Published by Leave your thoughts

Un racconto distopico. Un’epidemia, un amore e una giovane ragazza.

É tutto un sogno?

O è la realtà?

E soprattutto… come si fa a distinguere la realtà dal sogno?

Ascolta la soundtrack mentre leggi il racconto.

Si rialzò, e cominciò a correre verso la scuola sperando, con il cuore in mano, che anche lui venisse, che Leo fosse ancora sveglio.

Clara era innamorata di lui, ma Leo non lo sapeva ancora, e solo nei suoi sogni e desideri lui ricambiava i suoi sentimenti. Si deliziava le giornate con i suoi ricordi, attendendo un segno da parte sua e che un giorno lui le dichiarasse il suo amore per lei. Ma la realtà era diversa, non sempre accadeva quello che sognava, e non sempre si sogna quello che si desidera.

In quel momento aveva paura che, un giorno, potesse finire intrappolata in un incubo e non avere più le capacità di controllare la sua coscienza.

Se proprio doveva dormire, avrebbe potuto sognare Leo che l’amava?

Era una speranza vana e bisognava realizzare il suo desiderio nella realtà, ora che aveva ancora un po’ di tempo. Almeno doveva provarci, rischiare. Doveva dichiararsi senza avere più nessun remore.

Se le risponderà negativamente, lei si appisolerà, constatò, ma era un rischio da dover correre.

E se lui l’avesse amata, l’amore avrebbe impedito loro di farsi inghiottire dall’ignoto?

Credere nell’amore era l’unico probabile rimedio all’epidemia, o almeno doveva convincersi che fosse così, e che valeva la pena tentare, evitando ogni sorta di rifiuto.

Quando Clara arrivò a scuola, i cancelli che l’avevano imprigionata ogni giorno per almeno cinque ore nell’edificio, ora erano spalancati. I catenacci spaccati pendevano dalle catene impigliate alle griglie. Via libera per la scuola, nel cortile brulicavano solo i ragazzi. Di sicuro quelli più in gamba, quelli più sicuri di sé. Quelli che supponevano che il futuro fosse ancora nelle loro mani, tra le dita dei giovani. Gli insegnanti erano spariti già da qualche settimana. Rassegnati, confessarono solo parole amare per salutare i ragazzi, o per esser precisi, dire addio avendo ormai totalmente rinunciato a istruirli, ritenendo che loro non fossero per niente interessati a conoscere, a riconoscere il mondo e le sue molteplici sfaccettature, per carpirne le regole, per fondare un ordine da seguire. Eppure sbagliavano, pensò Clara.

Lei voleva comprendere come tutte le materie si interfacciassero con la realtà. Sembravano sempre cose così lontane dalla vita quotidiana dell’uomo, e dunque inutili. Come potevano usare le loro conoscenze per diventare persone migliori, se nessuno aveva insegnato loro come usarle? Se non c’erano guide, ma solo compiti, interrogazioni e voti non basati sull’onestà o sulla bontà, ma solo su attività date loro senza valore. Non si usava il giudizio critico, non si rifletteva sulla vita, sul passato, sul presente e il dimenticato futuro, di cui ora non c’era più possibilità. Non c’era più stato un tentativo di condurli verso la strada giusta, nessuna educazione.

La scuola pullulava di sopravvissuti. Clara arrivò all’ingresso ansante e con passo debole. Con orrore poté osservare la distruzione della civiltà: macchinette di merendine distrutte da un estintore, la palestra, che Clara aveva sempre odiato, era invasa dai pezzi di intonaco crollati, sul soffitto una macchia d’umidità sembrava allargarsi sempre più, e i colpi del pallone da calcio sulle apparecchiature sportive avevano dato il colpo di grazia. Passò avanti e notò come le solite ragazze, denominate da lei ‘civette’, fissavano i ragazzi più carini, gli obiettivi d’amore che avevano disposto il tavolo da ping pong nel corridoio, e progettavano mosse per conquistarli, passandosi a turno prima una sigaretta, poi una gomma da masticare, e infine il lucidalabbra.

La vita sembrava continuare come al solito, senza pensare a quello che facilmente stava scivolando via tra le dita.

Trovò la sua aula per mantenere ancora un’abitudine ed evitare di perdere la testa.  Un filo di fumo aggredì le sue narici, Clara arricciò il naso infastidita e rimase spiazzata quando aprì la porta. L’aula era diventata ormai una sala fumatori. Alcuni ragazzi la fissarono, uno che riconobbe dopo un po’, per il suo improvviso mutamento, si accarezzò i capelli biondi che gli ricadevano sulle spalle. Il ragazzo smagrito di nome Mattia soffiò sul volto di Clara che tossì istantaneamente scacciando con la mano il fumo.

«Ci sei anche tu allora… la tua amichetta è crollata già, sai?» esordì con un ghigno beffardo.

Clara intuì subito di chi parlasse e lo scrutò con sguardo truce.

«Sai, le ho detto che con gli occhi gonfi per le lacrime, era ancora più brutta del solito.»

Mattia barcollava spirando dalla sua sigaretta che non conteneva solo tabacco.

L’ira saliva sempre più e Clara gli infilò un pugno sulla guancia. Una cosa che non aveva mai fatto. Non era mai stata violenta… Ma sembrava che Mattia non provasse alcun dolore. Si massaggiò la parte ferita con sorpresa e rise: «Vuoi una sigaretta? Saresti più rilassata.»

Mattia le porse metà sigaretta umida e tossì.

Clara la scaraventò a terra, la calpestò e con slancio dette una ginocchiata sui genitali del suo nemico.

«Ti ho sempre odiato, sei solo un verme, ora voglio vederti strisciare,» sibilò gelida, lasciando il ragazzo sul pavimento sudicio, tra i ragazzi indifferenti alla situazione.

Clara se ne andò, richiuse la porta e si mise di nuovo alla ricerca di Leo.

Non doveva più pensare a Melissa. Non doveva permettere che il suo ricordo la facesse crollare.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *